Dov’è Mario è l’ultima fatica televisiva di Corrado Guzzanti. Il comico romano, cinquantunenne, è tornato su Sky con 4 puntate appena andate in onda. Una serie tv scritta insieme a Mattia Torre e diretta da Edoardo Gabriellini. Recensione
L’attesa non è stata tradita, il marketing che sarebbe risultato inappropriato per qualsiasi altro prodotto televisivo – con tanto di finto libro pubblicizzato nelle librerie – ha invece contribuito a creare la realtà di riferimento e le aspettative. Naturalmente il progetto nasce e viene distribuito su piattaforma Sky (e chissà se verrà mai trasmesso anche in chiaro) con la produzione di Wildeside.
Dov’è Mario segna anche una svolta per Corrado Guzzanti, la scelta di declinare la scrittura su un piano che supera la configurazione televisiva da studio. Il geniale Caso Scafroglia era l’ultimo esempio (con la successiva e forse meno riuscita propaggine di Aniene) di quel modello che con L’Ottavo Nano lo aveva definitivamente consacrato come il più originale artista della comicità del piccolo schermo. Ma già in quell’occasione interveniva una robusta scrittura che metalinguisticamente metteva al centro lo stesso mezzo televisivo costruendo un finto programma nel quale il conduttore interpretato da Guzzanti imbastiva un’infinita e infruttuosa ricerca del misterioso scomparso, il signor Scafroglia. Nella commedia seriale (andata in onda per quattro puntate) invece il salto è netto e la scrittura ha un ruolo determinante, non a caso Guzzanti si avvale di Mattia Torre, autore anche per il teatro e uno degli artefici qualche anno fa del successo di Boris, di cui lo spettatore più smaliziato troverà alcune atmosfere e modelli comici.
Il plot ruota attorno alla figura di Mario Bambea, nella finzione noto intellettuale di sinistra, scrittore e saggista che vede la propria vita mutare radicalmente a causa di un incidente automobilistico. Il riferimento principale è il mito letterario di Dottor Jekyll e Mr Hyde (Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, Robert Louis Stevenson, 1886): dopo l’incidente Bambea si sdoppia, una notte si sveglia e affacciandosi al balcone guarda il teatro di cabaret che da poco hanno riaperto dall’altra parte della strada, l’Odeon. È attirato, quasi fosse un bisogno primario, da quel luogo osteggiato dalla borghesia colta del quartiere; nel giro di poco tempo si ritrova a vestire i panni di uno dei comici di punta della rassegna. Si appropria dell’identità di un giovane comico – interpretato sa Saverio Raimondo che recita una piccola parte di se stesso – e diventa un fenomeno inarrestabile di volgarità e bassezza morale. Nei suoi monologhi si prende gioco cinicamente e senza rispetto di qualsiasi minoranza, utilizza battute e schemi comici tipici di certa comicità anni ’90, è l’equivalente spettacolare dei tanti politici che stimolano gli istinti più bassi del proprio elettorato.
E qui è la questione su cui ci porta a riflettere Corrado Guzzanti, questa eterna dualità che sempre di più vede una polarizzazione degli schemi culturali attorno a baricentri lontanissimi, tanto da imporre quasi una scelta tra l’appartenenza radicale a una cultura raffinata e quella altrettanto estrema di un posizionamento viscerale che della cultura umanistica si prende gioco, la risata come unico obiettivo, un altare al quale è possibile sacrificare qualsiasi tabù e morale. Ecco allora che un prodotto come Dov’è Mario invece, d’altronde accadde anche per Boris, riesce a posizionarsi criticamente in mezzo ai due emisferi facendo emergere con lucidità la dicotomia.
Il lavoro di Guzzanti e Torre si presta a numerosi livelli di lettura dando voce a questioni che siamo abituati a trovare nelle terze pagine dei giornali quando va bene o nelle nicchie culturali online: che fine sta facendo la figura dell’intellettuale in Italia e a quali mutazioni sta andando incontro? Più di una volta risuona un amaro e ironico refrain proprio sulla sparizione degli intellettuali: Mario Bambea ultimo grande intellettuale.
Attorno alla figura dello scrittore emergono piccoli ma precisi segni di realtà: Bambea promotore dei girotondi come nel caso di Nanni Moretti, l’attitudine a collaborare con i quotidiani attraverso editoriali politici, la frequentazione di un certo ambiente (passano velocemente davanti alla macchina da presa volti noti come quelli di Michele Santoro e Marco Travaglio), non manca un lavoro di studio sul Sessantotto che culminerà nell’ennesimo saggio. Nel mezzo di questo ambiente dal naturalismo ovattato lentamente emergono situazioni e personaggi che hanno sempre a disposizione piccole cariche esplosive con cui far saltare in aria qualsiasi realismo amplificando stereotipi e clichè del quotidiano all’ennesima potenza. Accade da entrambe le parti senza far mancare una serie di citazioni al “guzzantismo” dei decenni passati. D’altronde anche la costruzione del personaggio è una sorta di summa dei caratteri creati in precedenza: nell’impostazione vocale dell’intellettuale si ritrova l’ombra della parlata della caricatura del Ministro Tremonti e Bizio Capoccetti (così si fa chiamare quando si trasforma nel cabarettista da strada) non nasconde l’impronta di cavalli di battaglia come lo storico Lorenzo di Avanzi.
Ma l’abilità di Guzzanti, la scrittura di Torre e la regia di Edoardo Gabriellini hanno bisogno di attori in grado di lavorare su quello strettissimo crinale che separa dalla demenzialità. Ecco allora che come in Boris la cura della recitazione è evidente anche nei ruoli più piccoli: è eccellente ad esempio la performance di Valerio Aprea, la sparizione del suo personaggio tra l’altro colora la serie di un tono noir. Nicola Rignanese è un impresario viscido e impomatato con un’assistente senza scrupoli (Emanuela Fanelli) dedita alla causa del teatro comico, la moglie di Bambea (Rosanna Gentili) è un’attrice di teatro civile egoista anche di fronte ai problemi del marito, la badante è una poetessa rumena (Evelina Meghnagi) che dovrebbe prendersi cura del convalescente e invece si lascia rapire, anche lei, dal mondo dello spettacolo. Nel finale le atmosfere da horror comedy si aprono al tema del viaggio e chissà, a una possibile seconda stagione. Guzzanti, per l’ennesima volta, ha creato una carrellata di mostri – cinici, benpesanti, ipocriti, meschini, ma anche umani ed esilaranti – che si ritrova nel mezzo di un crisi: quella personale di Bambea/Capoccetti, del quale ognuno rappresenta un frammento, ma che allo stesso tempo è la crisi culturale di un intero Paese.
Andrea Pocosgnich