The House of Cards. Articolo pubblicato sul quotidiano Il Garantista, febbraio 2015
Frank Underwood batte le nocche sul tavolo dopo che gli eventi lo hanno incoronato Presidente degli Stati Uniti d’America. Terminava con questa immagine la cavalcata verso il potere cominciata nel 2013 con la prima stagione di The House of Cards: l’ambizioso deputato democratico col pelo sullo stomaco, pronto a tutto pur di arrivare allo Studio Ovale era riuscito nel suo intento. Il 27 febbraio, da mezzanotte, in onda su Sky Atlantic lo vedremo infatti alle prese con l’insediamento alla Casa Bianca. E la mossa finale, quella capace di mettere in scacco definitivamente gli avversari è stata un capolavoro di scaltrezza rappresentato a dovere da un’altra delle immagini che chiudono la seconda stagione: Frank, il vice Presidente, interpretato magistralmente da Kevin Spacey, poggia le mani su una macchina da scrivere (proprio una Underwood) e ricama una lettera indirizzata al Presidente, col quale aveva rotto ogni rapporto perché questi ormai non si fidava più del vice, anzi stava intuendo il disegno con cui Frank lo aveva messo alla sbarra. È ancora una volta il potere della parola a salvargli la pelle, in quella lettera accorata c’è la stessa magia nera con cui Jago instilla il veleno del dubbio nell’orecchio di Otello. Come per la tragedia shakespeariana è la parola a dar forma a l’incantesimo di The House Of Cards, è con l’ennesimo sortilegio che Frank Underwood si fa credere ancora una volta un agnello incapace di remare contro al suo fidato pastore, il Presidente, il quale lascerà al suo vice la poltrona del comando.
Nel teaser diffuso da Netflix in questi giorni – dopo che per errore tecnico (o per marketing) l’azienda aveva lasciato qualche ora la nuova stagione disponibile prima del previsto – si vede Frank in piedi e seduta di fianco a lui Claire, la first lady, lei mostra una smorfia quasi impercettibile quando il marito le posa una mano sulla spalla per la foto di rito. Robin Wright d’altronde, se possibile, è al livello dell’attore premio Oscar: è una Lady Macbeth dei giorni nostri, capace di liquidare qualsiasi rimorso di coscienza, di abbracciare il male senza troppi scrupoli per poi mostrare improvvisamente il proprio lato umano. E c’è da scommettere allora che la relazione tra i due sarà duramente messa alla prova in questa terza stagione. Arrivati al potere dovranno confrontarsi con la vita, l’assenza dei figli e la politica internazionale. Da più voci infatti sembra confermata la presenza delle Pussy Riot, il gruppo, noto per l’impegno femminista e l’antagonismo nei confronti di Putin, fa pensare a eventuali problematiche con la Russia.
Ed è un ordito di primissimo livello quello creato punto per punto da Beau Willimon a partire dal romanzo di Michael Dobbs e poi dalla miniserie televisiva britannica del 1990. Ma qui è tutta un’altra storia, la serie (vincitrice di una dozzina di premi), diretta tra gli altri da David Fincher, la stessa Wright e Jodie Foster, verrà ricordata nella storia della tv come l’immagine precisa di un punto di rottura, di una scommessa con la modernità, finora vincente per i suoi fautori. La svolta determinata da The House of Cards non sta solamente nella scrittura che fonde numerosi sub-plot con il percorso narrativo principale, con la tessitura delle battute che ne fa una verbosa, ma infallibile, opera dialogica, la rivoluzione approntata da Netflix sta proprio nella distribuzione, cioè nel modo con cui gli abbonati del canale americano possono accedere alla serie. La pubblicazione avviene infatti online per tutte le puntate contemporaneamente, nello stesso giorno: il 27 febbraio i clienti Netflix avranno accesso a tutta la nuova stagione, come fosse un film di decine di ore. E proprio in questo ultimo periodo è stato annunciato lo sbarco anche in Italia del servizio televisivo via internet. Sarà la televisione via web produttrice di The House of Cards il prossimo concorrente di Sky Italia; intanto la pay tv di Murdoch si appresta proprio il 27 a soddisfare i fan di Underwood con i primi due episodi della terza stagione. Ma le frontiere ormai sono aperte e basteranno poche ore, anche qui da noi, per avere tutti gli episodi disponibili in lingua originale grazie alla distribuzione pirata del web.
Però la forza di The House of Cards va oltre le nuove potenzialità della fruizione web – versioni piratate a parte, i dubbi che il modello Netflix dovrà sciogliere riguardano la capacità di carico delle nostre infrastrutture internet -, a renderla avvincente è la tematica e il radicalismo con cui viene affrontata. La politica americana viene messa a nudo e diventa terreno di scontro, metafora dell’agire umano spinto da un’inarrestabile sete di potere. È insomma quella soglia di credibilità con cui l’arte gioca da secoli: rendere l’impossibile plausibile. Ciò che accade nelle stanze del potere ritratte dalla serie che ha conquistato anche chi il potere lo gestisce in prima persona – Obama e Renzi sono dei fan accaniti – va al di là della ricerca della rappresentazione del reale, non a caso da alcuni è stata definita fantapolitica.
Andrea Pocosgnich